Esposito (BMV Canvas): il segreto delle start-up vincenti? La pianificazione
Per Caltalks intervistiamo Mattia Esposito, autore del libro BMV Canvas: Il modello decisionale per il business plan della tua startup. Mattia Esposito è consulente aziendale specializzato in business model design, business planning e lancio di nuove imprese e startup. Dal 2016 co-founder di Up2lab. Mentor per i maggiori programmi nazionali ed internazionali dedicati al mondo delle startup e dell’imprenditoria. Speaker e divulgatore presso i principali eventi nazionali in ambito startup ed innovazione.
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Partiamo dall’idea alla base del BMV Canvas: come nasce e qual è stata la scintilla che ha dato inizio a tutto?
Nella nostra attività di pianificazione e consulenza sul business planning abbiamo avuto il privilegio e anche la responsabilità di toccare e modellare con mano vari progetti, che poi si concretizzano e riescono a diventare realtà. Ma anche progetti che restano solo un intento. In questi anni ci siamo resi conto che fondamentalmente c’era ancora troppa approssimazione nella pianificazione. L’idea emersa in molti casi è che la pianificazione sia qualcosa da fare solo successivamente all’avvio della start-up, quando il business diventa validato. E invece in realtà sappiamo benissimo che uno dei problemi principali di fallimento non è di non trovare i fondi, ma di non aver pianificato correttamente e valutato oggettivamente l’idea. Partendo da queste premesse abbiamo creato il BMV canvas.
Di cosa si tratta quindi?
Il canvas è l’oggetto del libro, ma anche il risultato finale che raggiungiamo. Si tratta di un modello decisionale step by step, che partendo dall’idea di mercato arriva al piano finanziario. Una volta chiare le varie facce della medaglia, riusciamo con questo modello ad attribuire dei valori che analizzano dati esterni, contestualizzandoli.
Cosa differenzia il BMV Canvas da altri strumenti di business planning già esistenti sul mercato?
La differenza è di approccio. Nel senso che gli strumenti che ci sono sul mercato tendono a creare una forte idiosincrasia o cannibalizzazione tra due approcci. L’approccio tradizionale e l’approccio dettato dalla Silicon Valley, che è quello di fare il business model canvas. Quest’ultimo di fatto riassume a grandi linee gli aspetti presenti nel business plan, ma in modo un po’ più dinamico. In realtà l’attività di pianificazione per noi è unica.
Quali sono i principali vantaggi rispetto ad altri metodi?
Queste due differenziazioni per noi si possono integrare e non sono in antitesi. Così facendo, è il business a orientare la modalità di pianificazione e non il contrario. Noi ci differenziamo proprio per aver integrato questi due metodi e abbiamo cambiato il modo in cui andiamo a compilare il business plan. Facendo ricorso a matrici ed algoritmi interni, riuscendo a valutare effettivamente come il nostro business riesce ad essere molto più orientato al mercato. Quindi abbiamo innovato il modo in cui si va a creare lo stesso business plan.
In che modo il BMV Canvas aiuta le startup a evitare i fallimenti di mercato o la carenza di capitale?
L’aiuto principale è quello di pianificazione. L’attività ha un unico obiettivo, ovvero mitigare la negatività e il margine di errore. Noi diciamo sempre che il nostro obiettivo è di abbassare il margine di errore presente in qualunque attività imprenditoriale. Con il nostro libro si riesce a entrare in un processo di analisi molto più profondo. Riusciamo a fornire alle start-up un modello decisionale che permette loro di essere autonome anche nelle fasi iniziali. Quindi è ovvio che in questo modo cominciamo già a proporre un pensiero e una massa critica che altrimenti non potrebbe esistere. Una cassetta di strumenti che possono essere conosciuti e utilizzati.
Come funziona il processo di valutazione attraverso il BMV Canvas? Ci può dare una breve panoramica?
La valutazione avviene con degli algoritmi che abbiamo creato e che vanno a raccogliere tutti gli output lungo i vari step. Vengono assegnati dei rating e dei punteggi ad ogni passaggio. Questo punteggio tiene conto di aspetti oggettivi ed è sempre attualizzato. Il modello per arrivare alla fine è proprio dettato dall’assegnazione di un rating garantito dagli algoritmi proprietari.
Quali sono, secondo lei, gli errori più comuni che le startup commettono nella pianificazione strategica?
Il primo è che molte volte non effettuano proprio un’attività di pianificazione. Un po’ non hanno mentalmente una focalizzazione sulla pianificazione, perché è anche una parte più ardua da concretizzare. E anzi, a volte non riescono a cogliere che è la parte più importante. Inoltre, teniamo a mente che lo startupper inizialmente è ossessionato da come trovare i fondi e dal prodotto che sta tirando fuori. Quindi tralascia gli aspetti di pianificazione finanziaria e strategica, concentrandosi solo su questi due punti.
Parliamo degli aspiranti imprenditori e startuppers che ci stanno leggendo, quali consigli darebbe per iniziare il percorso con il piede giusto?
Il mio consiglio è sempre lo stesso, innanzitutto bisogna filtrare l’idea. Molte volte siamo attratti dalle tecnologie emergenti. C’è un innamoramento di queste tecnologie, senza pensare alle barriere e ai costi d’innovazione. Ma le tecnologie emergenti vanno inserite nel nostro business quando realmente portano un valore. Si pensi alla blockchain inserita praticamente ovunque solo per spinta culturale. La seconda cosa è di concentrarsi bene su quello che può essere già un’attività di pianificazione e una road map. Sviluppando degli step. E ancora, è fondamentale inizialmente concentrare sforzi e budget sull’attività di validazione, che consiste nel trovare la corrispondenza al problema individuato. Attenzione, perché anche questa attività è qualcosa che va pianificata. Se invece parliamo di business standard, il business plan diventa fondamentale per aprirci ad eventuali investitori.
Guardando al futuro, come vede il futuro dell'ecosistema startup in Italia?
Il futuro come sappiamo deriva dal presente e dal passato. Dal 2012 in poi le start up sono state viste quasi come un ascensore sociale. Sbagliatissimo! Perché sono proprio la tipologia d’impresa più complicata del mondo. Oggi l’hype è sceso e chi si avvicina lo fa in maniera più concreta, avendo budget e capitale umano. Dal mio punto di vista diventa molto importante per il futuro dell’ecosistema quello di porre comunque delle barriere. Non per motivi di mancata inclusione, ma per responsabilizzare gli aspiranti founder a capire che l’attività imprenditoriale richiede budget di partenza, capacità. L’ecosistema ora sta vivendo quindi una fase di minore hype, ma è una flessione potenzialmente positiva perché può imporre più riflessione.
Può indicarci quali saranno a suo parere i prossimi trend di settore?
Sicuramente ora l’intelligenza artificiale e il metaverso sono fenomeni importanti. L’IA è uno strumento che può essere integrato in qualunque attività. Credo che intorno all’IA, rispetto alle altre tecnologie, c’è più possibilità di integrazione sia a monte che a valle. Attenzione però a non ritenere che l’IA renderà più attrattiva una start-up rispetto a un’altra. Non per forza la scelta dell’ultima tecnologia si rivela quella vincente.
Servizio a cura di Stefano Calicchio (C) riproduzione riservata
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