Segantini (C+S Architects): l’architettura ha la responsabilità di tradurre il tempo in cui viviamo

Maria Alessandra Segantini. Insieme a Carlo Cappai, fondatrice dello studio C+S Architects

Per Caltalks intervistiamo Maria Alessandra Segantini. Insieme a Carlo Cappai è fondatrice dello studio C+S Architects. Maria Alessandra Segantini è stata invitata dall’Ordine degli Architetti di Trieste a tenere la Lectio Magistralis dal titolo Conversazioni, in occasione del seminario “La città che vorrei”. Un evento (Trieste, 1 e 2 febbraio 2024) e al contempo uno spunto di riflessione sulla rigenerazione urbana delle grandi aree dismesse, organizzato per l’anniversario dei 100 anni dell’Ordine degli Architetti. Il seminario ha coinvolto le istituzioni, l’università, le scuole e i cittadini.

Caltalks raccoglie e condivide con i lettori i punti di vista di personalità, innovatori, decision maker e opinion leader per comprendere i temi e le scelte che stanno cambiando il mondo. Il format punta a offrire analisi e raccogliere idee inerenti ai fatti e trend che stanno modificando la società dal punto di vista economico, sociale, ambientale, tecnologico, politico e istituzionale.

Qual è la filosofia che guida il vostro approccio alla rigenerazione urbana e come si riflette nei progetti di C+S Architects? 
L’Italia (ma potremmo estendere questo argomento a qualunque parte del mondo oggi) è un Paese ricchissimo di storia e di bellezza, ma è un Paese fragile. Abbiamo ereditato dal passato lontano e vicino monumenti, spazi e paesaggi dei quali non ci siamo presi cura dopo aver espanso le città sbriciolandole in periferie, città diffuse senza spazi di aggregazione, di scambio, di confronto. Queste scelte mettono a rischio la nostra stessa vita sulla terra. Ecco perché pensiamo che lavorare su progetti di rigenerazione urbana, i brownfield, sia fondamentale per costruire un’etica planetaria che possa salvare il Pianeta. Nelle diverse occasioni di lavoro ci siamo confrontati con la rigenerazione di parti di città dimenticate (aree militari o industriali dismesse) di cui la natura si era magicamente riappropriata, quasi a volerci suggerire che era necessario ripensare un nuovo equilibrio tra costruito e natura. Sono progetti fatti per Enti pubblici o sviluppatori privati e sono proprio questi ultimi i soggetti più importanti per poter sviluppare le potenzialità del nostro lavoro. Il mercato, quale unica vera forza globale, deve credere e finanziare lo sviluppo di una nuova etica planetaria che permetta il riequilibrio di natura e costruito... e di tutti gli esseri che vi abitano. I progetti di Tervuren, Sant’Erasmo o Pordenone, le aree industriali dismesse alla Ex-Manifattura Tabacchi a Venezia o alle Conterie sull’isola di Murano, la rigenerazione urbana dell'area del museo GAMeC a Bergamo, gli uffici giudiziari a Trieste lavorano sui temi della densificazione, del ‘costruire sul costruito’, del rapporto con la natura, dello spazio pubblico come ‘common ground’ a disposizione dei cittadini. In tutti i progetti il nostro approccio alla rigenerazione urbana si attiva con la costruzione di una spina dorsale di spazio pubblico, verde o minerale, che permette ai cittadini di rafforzare il senso di comunità, di fruire di spazio a disposizione aperto, libero, attivabile, nonostante le sempre più compresse dimensioni degli alloggi. La città diventa quindi quello spazio a disposizione che riequilibra le disuguaglianze sociale e costruisce una società multietnica e multiculturale.

In che modo la storia e l'identità unica di Trieste hanno influenzato i vostri progetti di rigenerazione urbana nella città? 
Non abbiamo ancora avuto la fortuna di lavorare a Trieste, una città che tuttavia conosciamo bene per la sua vicinanza a Venezia (noi siamo Veneziani) per l’analogia di ruolo quali porti importanti dell’Adriatico, per le sorti comuni durante la Dominazione Austriaca che abbiamo approfondito lavorando sui disegni del KriegsArchiv di Vienna e molto altro… attendiamo un’occasione!

Potrebbe descrivere il ruolo e l'importanza dello spazio pubblico nei progetti di C+S Architects?
Siamo architetti. Ogni opera che progettiamo è per definizione pubblica. A differenza di altre discipline l’architettura ha la responsabilità di tradurre il tempo in cui viviamo, la sua cultura in spazio fisico durevole, ma anche aperto ad essere reinventato dalle comunità, una specie di infrastruttura a disposizione. È questo il concept della Piazza del Cinema, che trasforma il red carpet degli attori (utilizzato per sole 3 settimane all’anno in un ‘white carpet for all people', una piazza per le mamme con le carrozzine, per gli skaters, per gli anziani che possono sedersi all’ombra a guardare il mare.... I nostri progetti trasformano il mondo diventando le scene dove si svolge la vita. Non parlo solo della vita degli uomini, ma di quella di tutti gli esseri viventi che proprio al Lido continuano ad abitare il parco e costruire quella biodiversità necessaria a sostenere in vita il Pianeta. E questa è una grande responsabilità. Una responsabilità che ci permette tramite i progetti di rigenerazione urbana di ‘riparare’ gli errori del passato recente, della crescita smodata spinta dalla globalizzazione, rimettendo in equilibrio costruito e natura. La tecnica è nelle nostre mani per evitare di consumare ulteriore suolo o risorse a disposizione se vogliamo continuare ad abitare questo pianeta perché al momento è l’unico che abbiamo. Lavoriamo per costruire edifici e spazi pubblici durevoli che possano offrire potenzialità di cambio d’uso o, all’opposto, progetti che possano essere smontati e riciclati a fine vita dell’edificio a impatto zero sull’ambiente, come i nostri recenti prototipi di ‘scuole circolari’ che amiamo definire ‘le piazze delle periferie’ proprio per il loro grande valore di ‘rete di spazi collettivi di prossimità a disposizione dei cittadini oltre l’orario scolastico’.

Può parlarci delle maggiori sfide incontrate nel progettare la rigenerazione delle Ex-Scuderie Reali a Tervuren e come le avete affrontate? 
L’area delle Ex-scuderie Reali a Tervuren si trova all’interno di un bellissimo parco a quindici minuti da Bruxelles e collegata alla Capitale da una delle più poetiche linee tramviarie di Europa immersa nel verde. Quando l’ho visitata la prima volta durante il concorso di progettazione (che poi il mio studio ha vinto nel 2018 e che ora è in costruzione con la previsione di essere completato l’anno prossimo) mi ha colpito la maestosità della natura del parco, che si era ripresa parte degli edifici dismessi e che si trovava nel cuore del piccolo centro di Tervuren, un tempo dimora del tristemente noto Re Carlo. Una sequenza di quattro laghi punteggiava il paesaggio per poi riversarsi nel grande bacino sul quale si affaccia alche il Museo d’Africa, recentemente progettato dall’architetto belga Stephen Beel. Come era possibile inventare un sistema che preservasse e rafforzasse la forza di quel paesaggio e quei monumenti che avevamo ereditato dal passato? I primi schizzi riportano queste riflessioni. Immaginiamo due spine dorsali per l’intervento: una parallela alla sequenza dei bacini d’acqua completata dal disegno di un quinto lago immerso nel verde e una trasversale costruita da una nuova sequenza di spazi pubblici pedonali che partono dalla cattedrale, attraversano la grande piazza d’armi a forma di ferro di cavallo, per poi arrivare a una nuova piazza in quota (che ripristina le giaciture originarie scoperte grazie allo studio dei disegni di archivio). Quest’ultima piazza si riconnette con il parco e il nuovo bacino d’acqua e si spinge fino alla fine del muro di cinta dove manteniamo una ‘casamatta’ in mattoni ben conservata. Una volta vinto il concorso, sono iniziate le conversazioni con le Soprintendenze ai Monumenti e al Paesaggio che ancora oggi continuano perché siamo assolutamente convinti che un progetto di architettura sia uno spazio/tempo condiviso tra tutti gli attori che ‘con amore’ stanno immaginando per costruire l’eredità futura di quel luogo. La sfida è stata proprio la costruzione di una conversazione evitando di calare un progetto dall’alto…

Qual è la vostra visione per il futuro dell'architettura urbana e come pensate che evolverà il ruolo degli architetti? 
Siamo assolutamente convinti che il ruolo dell’architetto nella società sarà sempre più potente. Innanzi tutto, gli architetti sono quasi dei maghi, immaginano e trasformano il mondo e sono quindi responsabili dell’etica di queste azioni. Per restare in metafora, possiamo essere Harry Potter o Voldemort… Un’etica nuova che deve tenere insieme il mercato, l’ambiente e la comunità. Un’etica planetaria che, nonostante il nostro lavoro sia assolutamente locale, deve avere sguardo e impatto globali. I nostri progetti possono concorrere a riscrivere le leggi, come è avvenuto per le scuole italiane che hanno contribuito a riscrivere le linee guida del Ministero. La scelta di non sprecare suolo, di costruire sul costruito, di utilizzare materiali riciclabili e di non sprecare energia riflette una idea di tecnica capace di essere contemporaneamente al servizio del profitto e impegnata a restituire un nuovo equilibrio ambientale e sociale, un nuovo equilibrio tra costruito e natura e un nuovo rispetto reciproco tra tutti gli abitanti del Pianeta. In quanto creativi per noi le sfide si trasformano sempre in occasioni per costruire un mondo migliore.

Avendo lavorato su progetti sia in Italia sia all'estero, quali esperienze potrebbero essere applicate nel contesto italiano? 
L’approccio nordeuropeo è contemporaneamente condiviso e pragmatico. Mi riferisco ai progetti belgi perché in questo Paese al momento abbiamo in corso cinque cantieri. Ognuno di essi è stato elaborato con lunghi processi di condivisione tra tutti gli stakeholder coinvolti. Tutti seduti intorno a tavoli di lavoro aperti dove al centro stava il progetto e i temi di cui ho già parlato: la limitazione del consumo di suolo, l’utilizzo delle risorse, il valore aggiunto per la comunità, i vincoli monumentali e paesaggistici, la fattibilità economica e finanziaria dell’operazione, i vincoli urbanistici, le aspettative sociali. Stavo contemporaneamente insegnando e reinventando il Master in Architettura dell’Università di Hasselt che aveva come caposaldo questo lavoro di condivisione. Ad Hasselt avevo innestato il valore aggiunto del lavoro su temi concreti di trasformazione del territorio e così avevamo costruito dei tavoli di confronto con alcune amministrazioni locali, con le comunità, con esperti di sostenibilità e circolarità. Una bella esperienza che in parallelo stavo sperimentando nei lavori dello studio. Con partecipazione altalenante l’avevamo tentata anche in Laguna di Venezia (a Sant’Erasmo e nel progetto della Piazza del Cinema al Lido di Venezia) e che ora è invece diventata una prassi dello studio nei recenti progetti di GAMeC e del tribunale di Trento. Una grande soddisfazione quando anche gli stakeholders finanziari hanno chiesto di sedersi al tavolo perché interessati a questo processo di lavoro. Il pragmatismo è la seconda sfida, una volta condiviso e approvato il progetto viene realizzato secondo i criteri definiti. Non si torna indietro nelle decisioni, nonostante cambino le amministrazioni.

Quali considera le maggiori sfide e opportunità nella rigenerazione urbana oggi?
Negli ultimi trent’anni abbiamo assistito a uno sviluppo senza precedenti, sono state trasformati città e territori, distrutte foreste, saccheggiate materie prime, costruito nuove città. Sul piano sociale abbiamo gentrificato interi quartieri e creato citiscapes monotoni dove i brand si susseguono uguali in ogni angolo del pianeta, dove nelle piazze della globalizzazione non è più possibile sedersi per terra, scrivere col gesso o ballare… I dati ci dicono che oggi non solo non possiamo tornare indietro, ma che invece è assolutamente fondamentale una inversione di rotta se ancora vogliamo abitare questo Pianeta, che fino a questo momento è l’unico che abbiamo. A differenza degli altri animali, l’evoluzione dell’uomo non è solo generata dall’istinto e dalla capacità di adattamento, noi siamo capaci di decidere liberamente e reagire creativamente alle sfide che ci si presentano dinanzi. E per questo motivo, grazie alla tecnica (Prometeo non è più incatenato), abbiamo potuto sfide inimmaginabili. Oggi la tecnica e il mercato si autoalimentano e producono la fragilità del Pianeta. Ma se riusciamo a virare queste che sono le uniche forse veramente globali, riusciremo a costruire un’etica planetaria per avere ancora un mondo dove far crescere le nuove generazioni. Le donne, che sono madri, oltre che architetti, hanno un ruolo fondamentale in questo scenario.

Infine, in che modo pensa che l'architettura possa influenzare positivamente le comunità e l'ambiente?
In ogni progetto gli architetti sono sospesi tra due poli: la soddisfazione del cliente e il regalo di spazio pubblico alla comunità. Il rispetto del budget e l’utilizzo di soluzioni ambientali sostenibili. Accanto al progetto che sviluppano per il cliente e la sua soddisfazione c’è una ‘agenda personale’, etica che è il valore aggiunto del nostro lavoro. Non ultime la produzione di bellezza e l’equilibrio tra costruito e paesaggio: in altri termini gli architetti sono capaci di costruire l‘eredità futura delle generazioni a venire.

Servizio a cura di Stefano Calicchio (C) riproduzione riservata

Commenti

Post popolari in questo blog

Armiliato (CODS): le donne scontano le scelte mancate su gender gap e lavoro di cura

Palazzolo (Lemon Sistemi): la sostenibilità per cambiare il proprio modello di crescita

Simona Galeotti, Gustavo Rol e il messaggio che salverà il mondo