Francescon (Coltivare Gaia): la crisi ecologica? Una crisi del Sé

Silvia Francescon, responsabile dell'Agenda Ecologia dell'Unione Buddhista Italiana

Per Caltalks intervistiamo Silvia Francescon, responsabile dell'Agenda Ecologia dell'Unione Buddhista Italiana e componente del Comitato Scientifico di "Coltivare Gaia". Il progetto di agroecologia, con sede in provincia di Firenze, punta a costruire comunità ecologiche solidali e consapevoli attraverso un percorso formativo che combina scienza, attivismo e pratiche agricole sostenibili (maggiori info qui).

Caltalks raccoglie e condivide con i lettori i punti di vista di personalità, innovatori, decision maker e opinion leader per comprendere i temi e le scelte che stanno cambiando il mondo. Il format punta a offrire analisi e raccogliere idee inerenti ai fatti e trend che stanno modificando la società dal punto di vista economico, sociale, ambientale, tecnologico, politico e istituzionale.

Silvia, puoi raccontarci come è nato il progetto "Coltivare Gaia" e qual è la tua visione dietro questa scuola di agroecologia?
La crisi ecologica, derivante da pratiche antropocentriche, distruttive dei suoli, è il riflesso di un sistema di dominio dell’uomo sulla natura. Se vogliamo rispondere efficacemente alla crisi climatica e alla perdita di biodiversità, è necessario riconoscere che abbiamo bisogno di un cambio di paradigma, in grado di condurci a una nuova relazione con la Terra.

“Coltivare Gaia” – la nuova scuola di formazione fondata sui principi di interdipendenza degli ecosistemi, mira proprio a questo: non si tratta solo di un percorso di apprendimento di pratiche agricole innovative e rigenerative, peraltro fondamentali per una transizione equa, ma di una vera e propria scuola di eco-politica.

“Coltivare Gaia” nasce dall’esperienza della Scuola Contadina, che abbiamo realizzato con “Mondeggi Bene Comune” nel periodo dicembre 2023 - maggio 2024. La Scuola era preponderantemente incentrata sull’insegnamento di tecniche agro-ecologiche. Il successo di quella Scuola e la risposta entusiastica dei partecipanti ci ha portato a ideare, sempre insieme a “Mondeggi Bene Comune”, una Scuola di formazione superiore, dedicata ai formatori del futuro, poiché forte è il desiderio delle persone di divulgare, a loro volta, queste pratiche e i principi dell’ecologia profonda, che supera il concetto dualistico di “ambiente dell’uomo”.

Qual è il ruolo dell'Unione Buddhista Italiana nel supportare "Coltivare Gaia" e come si collega al concetto buddhista di interdipendenza?
Per noi si tratta di “Dharma in azione”. Da anni promuoviamo una cultura eco-centrica, consapevoli che alla base della crisi ecologica, vi è una crisi del Sé che si percepisce separato dalla natura. È da questa ignoranza cognitiva che derivano avidità e iper-consumismo. Spostare lo sguardo da una visione antropocentrica a eco-centrica significa riconoscersi in una relazione di reciprocità con ogni forma vivente. “Coltivare Gaia” esprime tutto questo. È dunque naturale, e non potrebbe che essere così, che l’Unione Buddhista Italiana abbia deciso di investire le proprie conoscenze, la propria professionalità e le risorse finanziarie che derivano dalla fiducia espressa attraverso le firme dell’8x1000 su questo progetto. È un’opera di restituzione alla terra e alle comunità.

Uno degli obiettivi di "Coltivare Gaia" è rispondere al cambiamento climatico attraverso la rigenerazione del suolo e la creazione di comunità ecologiche. Come pensi che la scuola contribuirà a questi obiettivi?
L’agricoltura industriale e intensiva contribuisce per almeno il 40% (sono dati FAO) all’innalzamento globale della temperatura. I suoli desertificati dai pesticidi e altri veleni, per la maggior parte di derivazione fossile, non sono più in grado di trattenere carbonio. Inoltre, producono cibo che è mera merce, non nutrimento, con un forte impatto anche sulla sicurezza alimentare e sulla salute. L’agroecologia è anche un processo di trasformazione e di riparazione dei nostri sistemi alimentari.

Si deve andare alle cause profonde dei cambiamenti climatici, altrimenti si rischia di fare una transizione ecologica senza ecologia. L’agro-ecologia e l’agricoltura che punta alla rigenerazione dei suoli e alla preservazione della biodiversità, insieme all’abbandono dei combustibili fossili, sono la migliore risposta ai cambiamenti climatici.

La scuola è uno strumento di formazione volto allo studio scientifico proprio delle cause profonde della crisi ecologica e sociale. “Educare” le persone significa “tirare fuori” potenzialità. E queste potenzialità si moltiplicano quando sono le comunità a condividere i percorsi prima, e ad agire poi.

Quali temi pensi siano più cruciali oggi per una transizione agroecologica efficace?
Credo che tutti i moduli proposti dalla Scuola di Agroecologia e dal suo programma di formazione affrontino temi cruciali per la transizione ecologica, nessuno escluso. Si metteranno a confronto esperienze e prospettive, teorie e pratiche della riparazione ecologica. Si parlerà di ecologia politica anche attraverso lo sguardo della giustizia sociale e ambientale. Si discuterà di sistemi economici, di neomaterialismi e di ecologie femminili. 

Affronteremo il tema delle cosmologie indigene. Basti pensare che i popoli indigeni, ormai ridotti al 5% della popolazione mondiale, proteggono l’80% della biodiversità. L’approccio predatorio alle risorse genetiche nei paesi ricchi di biodiversità del sud del mondo per farne prodotti commerciali (tendenzialmente farmaci o cosmetici) tipico di certe industrie poco ha a che vedere con la cultura spirituale con cui i popoli indigeni si relazionano alla biodiversità. Le loro conoscenze tradizionali non puntano alla monetizzazione ma alla condivisione, come anche lo scambio dei semi in molte comunità contadine (studieremo infatti le pratiche delle case delle sementi). 

Cercheremo anche di andare oltre il dualismo urbano-rurale, partendo proprio dalla difesa dei suoli e dalle pratiche di agro-forestazione. Studieremo l’intelligenza del suolo e la microbiologia, capiremo le relazioni fra microorganismi e input esterni per incrementare la sostanza organica del suolo. Analizzeremo il ruolo dell’acqua e di come preservarla in un contesto di sempre maggiore siccità. E ancora l’acqua e il suolo nella permacultura e la creazione di compost attraverso facilitazioni microbiologiche. Passeremo per l’autocostruzione e le tecnologie contadine. 

E poi il mio preferito: gli intrecci multi-specie, ovvero funghi, animali e fermentazioni. Il regno dei funghi ci offre uno sguardo per nuove forme di comunicazione, esempio di interdipendenza e di cooperazione per la vita. Senza i funghi non esisterebbero gli alberi, e senza gli alberi non esisteremmo noi. Sarà importante anche capire che relazionarsi con gli animali non è necessariamente sinonimo di sfruttamento e crudeltà, ma può essere cooperazione per un suolo vivo. Insomma, come si può capire, il cuore di questa Scuola sono le relazioni, le relazioni ecologiche.

Hai menzionato l'importanza di una cultura eco-centrica. Puoi spiegare cosa significa e come sarà promossa attraverso la scuola?
Eco-centrismo significa che ogni elemento della natura ha valore intrinseco, è importante “in sé”, non per una funzione utilitaristica per l’uomo. La Natura è un complesso vivente (per l’appunto “Gaia”, da cui il nome della scuola) di cui siamo parte. La posizione dell’uomo è quella di essere parte di un Tutto, che è più della somma delle parti. Si guarda dunque al benessere del Complesso. 

Gli elementi della natura non sono risorse naturali, ma sono considerati fonti di vita, scevri da ogni logica di dominio e possesso. È la visione dell’ecologia profonda, termine coniato dal filosofo norvegese Arne Næss e abbracciata da molti studiosi e praticanti del buddhismo, fra cui Gary Snyder e Joanna Macy.

I moduli che caratterizzano “Coltivare Gaia”, di cui ti ho parlato pocanzi, sono stati concepiti proprio con l’idea di promuovere l’ecologia profonda, andando oltre l’ecologia di superficie che lotta contro l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse incentrato su azioni per l’uomo, posto a sua volta al di sopra e al di fuori della Natura.

Quali sono le principali sfide che prevedi nell'attuazione di questo progetto e come immagini l’evoluzione di "Coltivare Gaia" nei prossimi anni? Quali impatti speri di vedere sia a livello locale che globale?
La sfida più grande è quella che incontrano tutti i progetti pioneristici, perché di questo si tratta, di una prima assoluta. Di fatto stiamo parlando di una scuola di ecologia politica. In questi casi ci si prepara al meglio, ma si impara anche facendo. E impareremo cammin facendo. Lo faremo insieme ai nostri compagni di strada, in primis l’APS “Mondeggi Bene Comune”. Come dicono gli africani, “se vuoi andare lontano, vai con qualcuno” e, aggiungo io, scegli bene i compagni di viaggio. È una scuola che fa e farà gola a chi pratica tecniche di agricoltura industriale intensiva e che oggi si appropria indebitamente di termini come “agro-ecologia” o “agricoltura rigenerativa”. 

Ma quel modello non ha nulla a che fare con i principi dell’ecologia, e men che meno dell’ecologia profonda. Difenderemo e proteggeremo la scuola da chi promuove il greenwashing. In termini di impatto, l’ambizione è di formare i formatori del futuro. Questo significa che l’auspicio è quello di promuovere una trasformazione culturale, quel cambio di paradigma di cui ti parlavo, ovvero di abbandono delle pratiche distruttive che caratterizzano l’antropocentrismo.

Per il futuro intendiamo proporre un’alternanza annuale fra la Scuola Contadina, dedicata a tutte le persone che si vogliono avvicinare all’agroecologia e desiderano apprendere tecniche e pratiche di coltivazione, alla scuola di politica e di ricerca “Coltivare Gaia”. Confidiamo anche nella contaminazione, ovvero che queste scuole possano diventare esempio replicabile altrove, possibilmente in tutta Italia.

Intendiamo anche stabilire reti che si possano trasformare in alleanze con chi sta portando avanti esperienze simili al di fuori dell’Italia. Vorremo creare delle piattaforme globali, che possano arricchirsi dell’esperienza di popoli indigeni provenienti da più parti del Pianeta. Per questo saremo presenti al Global Forum sulla Sovranità Alimentare in India e alla COP30 di Belem del prossimo anno. Perché in questi luoghi si incontrano le persone che, se unite, consentono di “andare lontano”.

Servizio a cura di Stefano Calicchio (C) riproduzione riservata

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